Spesso sento dire che non è facile che gli adolescenti comunichino con gli adulti, che non si riesce a comprendere cosa vogliano, che dicano di volere qualcuno che li ascolti ma che non sembrino poi in grado di comunicare. Eppure, e ne parlo anche per esperienza diretta, spesso accade la ‘magia’ per la quale lo stesso adolescente che non comunica, che non ascolta, che non condivide, elegga un adulto conosciuto come tramite personale tra il suo mondo e l’altro, quello adulto, che consideri degne di attenzione le sue parole e presti ascolto ad esse. Come si spiega la ‘magia’? Cosa fa si che questo rapporto possa essere costruito? Vi riporto in merito il passo di un testo che descrive molto bene quello di cui sto parlando. Il libro è di Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra con grande esperienza col mondo adolescenziale. Nel testo si delinea la differenza di rapporto di ragazzi con adulti ‘qualsiasi’, ai quali stentano a riconoscere un ruolo e, dunque, li appiattiscono in un ‘tutto indifferente’, e adulti competenti, adulti coi quali entrano in relazione, si aprono condividendo le loro paure e le loro vite. Cosa fa di un adulto un adulto competente? Sostanzialmente la competenza è data dalla possibilità che gli adulti hanno di credere in quello che fanno, che siano in grado di mettersi in gioco e di relazionarsi con empatia all’altro. Nel brano, come vedrete, si fa riferimento agli insegnanti, ma credo che il discorso sia estensibile ad ogni tipo di categoria. Eccovi il brano:
Generalmente per gli adulti la spavalderia degli adolescenti fragili è intollerabile. Non riescono ad apprezzarla e a divertirsi alle loro gag, perché al fondo delle comunicazioni c’è una certa dose di implicita denigrazione. Gli adolescenti di oggi affrontano gli adulti senza riconoscere loro alcun significato simbolico e senza regalare al ruolo sociale che svolgono un’importanza che meriti deferenza è timore reverenziale. Se gli adulti vogliono essere rispettati, è necessario che facciano o dicano qualcosa di interessante qui e ora, nella diretta interazione con l’adolescente e il suo gruppo. Ottengono rispetto e confidenza solo se hanno saputo dimostrare di conoscere il loro mestiere e di sapere spiegare bene a cosa serva la loro funzione. Che si tratti di un genitore o di un’insegnante, di un poliziotto o di un medico, di un educatore o di un allenatore il fatto che abbia l’età che ha e indossi quel ruolo, o eserciti quell’arte, o quel mestiere non gli regala alcuna importanza particolare agli occhi della tua spavalderia adolescenziale. Gli adolescenti sono portati a dare del tu a chiunque, convinti che non sono le differenze visibili quelle che contano, ma le competenze relazionali. Se poi un poliziotto o un prete, un allenatore o un assistente sociale dimostra sul campo di essere competente, allora si aprono trattative molto interessanti e gli spavaldi sono disponibilissimi all’ascolto.
Sarebbe utile ed interessante riuscire a capire le caratteristiche che deve avere un adulto per essere ritenuto ‘competente’ dagli spavaldi. È infatti molto complicato capire quali possano essere i motivi che fanno sì che fra un centinaio di docenti di una scuola solo quattro o cinque vengano ritenuti competenti. Sembra che l’amore che un insegnante manifesta per la propria materia sia molto apprezzato (…) purché comunichi la convinzione quasi delirante che quella disciplina sia fondamentale per la crescita e la realizzazione piena del sè: a queste condizioni viene posta la premessa affinché quell’insegnante sia ammesso al concorso per l’elezione al ruolo educativo di adulto competente. (…) Anche un certo livello di curiosità da parte del docente è generalmente molto apprezzato, purché sia fine a se stesso e sincero, non intrusivo e pettegolo. Agli spavaldi piace che il loro insegnante dimostri interesse per certe piccole vicende della loro vita, per alcuni incomprensibili riti della loro generazione, a cospetto dei quali gli adulti generalmente provano totale disinteresse. L’adulto competente, invece, se chiede è perché vuole capire, e quindi ammette di non sapere. E’ chiaro che non pretende di sapere ancor prima di aver chiesto delucidazioni. Se la domanda è pertinente, e documenta un certo rispetto per gli usi e costumi generazionali, allora gli spavaldi raccontano e spiegano bene, aprendo uno spazio ed un tempo di confronto educativo sulla quotidianità di enorme interesse ed utilità. Questo dimostra sul campo quanto sia utile ed interessante un confronto democratico fra la cultura adolescenziale e quella adulta. Ovviamente la spavalderia pone delle condizioni che non sono facilmente accettabili da ogni tipo di adulto, poiché pretende che dietro non vi sia alcun pensiero pedagogico o di curiosità intrusiva o di manovra seduttiva per carpire benevolenza d’ascolto a favore della propria disciplina.
Una volta deciso che hanno di fronte un adulto competente, gli adolescenti fragili e spavaldi ne fanno un uso intensivo, dimostrando quanto sia reale e profonda la loro motivazione ad attrezzare una relazione funzionale col mondo adulto e come sia cruciale per loro sentirsi in relazione. Quando viene stabilita una relazione educativa gli spavaldi accettano anche livelli molto elevati di dipendenza e ne sono consapevoli, perché la fiducia che sperimentano li autorizza a ritirare la denigrazione preventiva che è generalmente inalberano. [1]
Sarebbe da rivedere, dunque, il concetto che gli adolescenti non vogliano parlare con gli adulti. Anzi, credo sia per loro fondamentale riuscire a stabilire un rapporto costruttivo con uno di loro, un adulto che possa insegnare con l’esempio piuttosto che salendo in cattedra, che chieda perché interessato e non per ribadire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, che sappia ascoltare piuttosto che proclamare, che sia disposto a mettersi in gioco, che accetti il moto ondivago delle relazioni con un adolescente. Questo fa di un adulto un adulto competente per me. Con sempre maggior allarme mi rendo conto di quanto siano assenti figure adulte con queste caratteristiche nel mondo adolescente e mi chiedo quanto gli adulti siano disposti a mettersi in discussione, arrivando ad intuire come la mancanza di dialogo tra generazioni stia diventando drammaticamente sempre più pesante.
Che ne pensate?
A presto…
[1] Pietropolli Charmet, G. (2008), Fragile e spavaldo, Editori Laterza, Roma, pp. 116-118
i giovani adolescenti(anche oltre l’eta’ presupposta)tendono a proporsi anche irragionevolmente e da far pensare ad un antagonismo esagerato ai propri genitori in maniera superiore e ponendo gli stessi in una condizione di inferiorita’per loro indispensabile per la loro affermazione nella vita e nei cofronti competitivi coi coetanei.
Perfettamente d’accordo: potrebbero veramente stupire se provassimo ad avvicinarci al loro mondo senza pensare quanto sia futile o con poco senso rispetto alla nostra esperienza. Grazie Maria Grazia per l’intervento!
Sono d’accordo e penso che il dialogo sia qualcosa che si costruisce nel tempo e si basa soprattutto sul rispetto e sul riconoscimento dell’altro. Se io penso che il ragazzo che ho di fronte sia uno scalmanato, mi comporterò in modo che lui non possa che confermare quanto io penso. Bisogna adeguare il canale comunicativo quando i ragazzi crescono e trovare il modo per entrare in contatto con loro, anche condividendo le cose che a loro piacciono e a noi sembrano fare schifo. Quante volte critichiamo la musica che ascoltano? Ma quante volte abbiamo provato ad ascoltarla con loro e chiedere loro cosa li emozioni in ciò che ascoltano? Potrebbero stupirci molto, ne sono certa!