Il post di oggi ha come tema un fenomeno che ha radici profonde ma che, complici alcuni fatti di cronaca con risvolti particolarmente tragici, è diventato argomento dibattuto nelle cronache nazionali. Sto parlando del bullismo omofobico e questa attenzione testimonia una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica su temi legati alla violenza omofoba, argomento, questo, che possiamo considerare strettamente legato al dibattito più ampio che interessa la possibile approvazione in parlamento di una legge che regoli le unioni civili. Ma torniamo a noi: cosa si intende con il termine bullismo omofobico? Sostanzialmente consiste in atteggiamenti o comportamenti violenti tramite i quali una persona viene presa di mira da un coetaneo (o da un gruppo organizzato di suoi coetanei) in una relazione all’interno della quale il rapporto di potere non è paritario. La persona prescelta viene oppressa con vari atteggiamenti (derisione, minacce, insulti, esclusione…) ed il pretesto per l’attacco è dato, appunto, dalle scelte sessuali o dall’orientamento sessuale (reale o presunto) della vittima.
Per parlare di questo importante tema ho pensato di rivolgermi ad una persona che, per professione, è un conoscitore della materia. Mi riferisco a Jimmy Ciliberto, psicologo, psicoterapeuta, autore, insieme ai colleghi Paolo Rigliano e Federico Ferrari del testo Curare i gay?, edito da Cortina. Jimmy da tempo dedica la sua attenzione a tematiche legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Chi volesse ulteriore dettagli sul libro può cliccare qui mentre chi volesse saperne di più sul dr. Ciliberto può cliccare qui.
Ciao Jimmy, innanzitutto grazie per aver accettato l’invito e benvenuto! Direi di partire dalla definizione di bullismo omofobico: come potremo descriverlo?
Ciao Fabrizio e grazie a te per il tema che hai deciso di trattare.
Possiamo definire generalmente bullismo omofobico quell’insieme di comportamenti apertamente squalificanti e discriminatori assunti da una o più persone nei confronti di un ragazzo o di una ragazza omosessuale (o solo considerati tali), proprio a causa del loro presunto o reale orientamento non eterosessuale. Questa è però una definizione molto generale, per quanto utile a capire di cosa stiamo parlando. Penso che il fenomeno sia molto più complesso, e come tale vada trattato, altrimenti si rischia di considerarlo come una nuova etichetta diagnostica che riguarda solo la persona che mette in atto il comportamento vessatorio.
Io preferisco parlare di contesti eterosessisti che favoriscono, a diverso grado, un insieme di dinamiche che hanno l’effetto di far sentire la persona non eterosessuale (o presumibilmente tale) sola, impotente, isolata, colpevole, proprio per le caratteristiche che la rendono unica.
Penso inoltre che le dinamiche discriminatorie non siano elicitate tanto dall’orientamento non eterosessuale in sé, quanto da tutti gli aspetti che rimandano ad una idea di maschio e femmina che sfida la dicotomia esistente.
In base alla tua esperienza, è una realtà diffusa oppure un fenomeno di nicchia?
Purtroppo constato ancora che negli ultimi anni della scuola primaria e nella scuola secondaria di primo grado, quelli durante i quali nascono le situazioni di bullismo omofobico, la situazione è stagnante. Le parole che rimandano alla non eterosessualità di una persona vengono usate come presa in giro e insulto, pochissimi insegnanti si sentono competenti e a proprio agio nel parlare di queste tematiche, e l’idea che un proprio alunno o una propria alunna possano essere omosessuali continua a rimanere, nella maggior parte delle situazioni, una “non idea”.
Diversa è la situazione nella scuole secondarie di secondo grado, dove emergono differenze significative tra Istituti e Istituti. Affianco a contesti non dissimili a quelli di cui sopra, esistono realtà (principalmente nei grandi centri urbani) che accolgono la diversità, sia tra pari che con gli adulti.
Cosa provocano questi attacchi alla persona colpita?
Come ho detto prima, questi comportamenti hanno l’effetto di far sentire la persona non eterosessuale (o presumibilmente tale) sola, impotente, isolata, colpevole, proprio per le caratteristiche che la rendono unica. Se la persona vive poi in un contesto che sente come non sufficientemente supportivo, od addirittura collusivo con quello che a scuola lo discrimina, possono esserci conseguenze più complesse che possono andare dallo sviluppo di una sintomatologia ansioso-depressiva, all’assunzione di comportamenti a rischio, od anche (raramente per fortuna) all’ideazione suicidaria.
E quali sono le reazioni più comuni a questo tipo di discriminazioni?
Parlare di reazioni comuni è molto difficile, possiamo però affermare che sono ancora troppe le situazioni in cui c’è collusione, soprattutto tra i pari, o sottovalutazione della portata del problema da parte degli adulti.
La maggior parte di questi episodi avviene durante la preadolescenza e l’adolescenza, età nelle quali i ragazzi sono per molto tempo a scuola. Prendiamo in considerazione come si comportano gli altri attori di questa istituzione: gli insegnanti come affrontano questi episodi?
Purtroppo non ci sono risposte omogenee: a fronte di docenti che affrontano la situazione in maniera complessa, promuovendo discussioni con i ragazzi, parlando con le famiglie, attivando anche risorse extra qualora necessario (progetti educativi, supporti psicologici etc), troviamo anche insegnanti che si limitano ad intervenire in maniera punitiva, oppure altri ancora che non intervengono perché sentono di non avere gli strumenti o perché pensano che non rientri tra le loro mansioni.
Mentre le scuole come istituti che fanno?
Ritroviamo la stessa eterogeneità di cui sopra. Alcune scuole non prendono minimamente in considerazione la questione, altre organizzano momenti di riflessione a prescindere dalla presenza o meno di comportamenti discriminatori.
All’interno della famiglia, come pensi dovrebbero comportarsi i genitori dei ragazzi presi di mira?
Rassicurare i figli che il loro amore prescinde dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, mettersi in posizione d’ascolto e chiedere ai figli stessi cosa possano fare per aiutarli. È fondamentale che i ragazzi e le ragazze sentano di valere, soprattutto per la propria famiglia d’origine.
Mentre le famiglie dei bulli a cosa dovrebbero prestare attenzione?
Non mi piace pensare alle famiglie dei bulli, ma alle famiglie in generale, che a loro volta sono parte di comunità locali via via più ampie. Dobbiamo fare lo sforzo di uscire di modalità di azione basata sulla risposta alle urgenze, in maniera parcellizzata, ed iniziare ad abbracciare una modalità di pensiero e azione più sistemica e dialogica.
Hai dei suggerimenti da dare agli attori coinvolti in queste vicende per affrontare episodi di questo tipo?
Come dicevo prima, ascoltare questi ragazzi, vederli, restituire in maniera forte il fatto che loro valgono per la loro straordinaria unicità.
Alle famiglie e alle scuole, invece, il mio invito è quello di rendere chiaro, nelle loro comunicazioni e nelle loro azioni, che una persona vale ed è unica a prescindere dal proprio orientamento sessuale .. un modo semplice, ma potente è quello di usare una comunicazione che non dia per scontato l’eterosessualità di una persona, mai …
Come possiamo collaborare per far si che episodi come questi diventino sempre più ostracizzati?
Penso che le azioni da compiere debbano essere più che altro nella direzione di renderli sempre meno sensati ed attraenti. Come dicevo sopra, penso sia fondamentale lavorare con gli insegnanti, di ogni ordine e grado, e con coloro che formano gli insegnanti, nei contesti universitari e post universitari, affinché interiorizzino sempre più profondamente un cambio di premesse, tale da consentire una comunicazione, nell’accezione più ampia del termine, che veicoli il messaggio che anche le persone non eterosessuali sono presenti nelle loro teste, indipendentemente dal fatto che ci sia una persona esplicitamente glb.
Ringrazio di cuore Jimmy Ciliberto per la disponibilità nell’essersi prestato alle mie domande. Il tema naturalmente è vasto e ci torneremo ancora con altri interventi. Credo sia un ulteriore, importante passo per introdurre questo argomento in un dibattito che coinvolga più spazi possibili.
Se ci fossero persone interessate a testimoniare o a condividere la loro esperienza, naturalmente in forma assolutamente anonima (a meno che non desiderino il contrario!), possono contattarmi telefonicamente (3920008369) o per mail (fabrizioboninu@gmail.com).
Come sempre fatemi sapere che ne pensate.
A presto…
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Il mio pensiero e’ concorde con quella del Dott. Ciliberto, rispetto alla necessità di attivare spazi per gli insegnanti, le famiglie e gli educatori in generale , al fine di creare una cultura di condivisione e informazione. Purtroppo, mi sembra di vivere in un’epoca in stile Far West, dove l’ informazione dice tutto e il contrario di tutto e dove il libero arbitrio mi appare confuso con l’anarchia e l’egoismo.
Per essere più chiara, ho la sensazione che in molti si sentano liberi di fare ciò che vogliono, senza preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni sugli “altri”.
Così , tra gruppi di ragazzi , poco importa se si prende di mira “qualcuno “. Poco importa di come si sentira’ chi viene maltrattato. Dove è finita l’educazione al rispetto dell’altro?
I genitori si sentono sempre inadeguati . Gli insegnanti si sentono sempre più in conflitto con le famiglie dei loro allievi e privi ( dove consapevoli) di strumenti per gestire bambini e adolescenti , percepiti e dipinti come bestie .
Mi sembra una giungla dove si parlano lingue diverse con grandi difficoltà nella comprensione.
Esistono specialisti in grado di gestire queste dinamiche conflittuali . Sarebbe giunto il momento di agire !
Concordo con l’articolo e con Manuela sul fatto che i genitori, la scuola e le istituzioni dovrebbero attivarsi per sensibilizzare i ragazzi cercando di prevenire con la comunicazione e magari qualche corso sull’affettività.
Ma come letto sopra spesso i genitori sono inadeguati o lasciano che se ne occupi qualcun’altro ad esempio la scuola che però non ha fondi o risorse per attivare corsi di questo tipo e rimanda la questiona alle famiglie.
Insomma un cane che si morde la coda in un paese sempre più omofobico ed egoista.
Ciao Andrea, grazie per il commento. L’intento è proprio quello di sensibilizzare sul tema sempre più persone, convinto che più se ne parla meno preconcetti potranno circolare. Grazie ancora, torna pure quando preferisci per commentare!
Prima il bullismo veniva insegnato nelle scuole e nelle caserme perchè la legge del più forte era esaltata nel contesto sociale. I professori umiliavano e ridicolizzavano gli alunni in ogni modo anche mandandoli in giro per la scuola con le orecchie di asino.Insegnavano ai loro studenti a schernire e deridere i compagni che non manifestavano alcune caratteristiche approvate da quel contesto come la virilità ma anche molto altro.L’omofobia è solo un aspetto della categorizzazione del sociale .Se non ci fosse l’omofobia avremmo ancora a disposizione altri stigmi da usare contro l’altro e questo solo per un certo punto di vista della vita ……di cui nessuno vuole parlare , molto più imbarazzante che parlare di razzismo, omofobia, che ormai vanno di moda per fare pure passerella sui giornali e in tv.
mi consenta un poscritto, dottore: sono un radioamatore. E ho avuto l’occasione di affrontare argomenti di vario genere, nel tempo (ho iniziato nei primi anni ottanta), e con diverse persone. Così mi sono resa conto che non è facile fare chiacchierate del tipo A boccaperta di Gianfranco Funari; trasmissione che ho seguito con molto interesse. Per cui non mi sono stupita più di tanto che i genitori non seguissero argomenti pur validi, anche perchè c’è la preoccupazione del dopo assemblea: casa/famiglia. Ma non ci si rende conto che parlare è importante… e ho capito che nelle scuole non esiste più la figura dello psicologo, per questione di costi… ma quanto la stiamo pagando questa crisi! E quanto costerà, ancora? In tutti i sensi! Un cordiale buona sera, sempre da Graziella, Genova
buona sera, dott. Boninu, colgo l’occasione per augurarLe buon anno nuovo! E’ un bell’argomento, secondo me. Che mi angoscia. I ragazzi sono omertosi con i genitori. E sanno essere bravi attori. Nel caso dei bulli, invece, il messaggio discriminatorio, anche se non sempre esplicito, viene già dalla famiglia … la scuola dovrebbe dedicare il più tempo possibile a sensibilizzare gli studenti, fin dalle scuole elementari. Ma è un argomento, in qualche modo scomodo; non piace. Siamo ancora dei bigotti e vigliacchi.Il nostro passato storico non è ancora scalfito! Chi ‘sorveglia’ i nostri pargoli, fin dall’asilo, è troppo preso da altro, che affrontare argomenti che coinvolgono il ragionamento. Sia i genitori che gli insegnanti non hanno voglia ed energie per fare ‘sforzi’. E quindi anche le assemblee vengono sprecate. Mi viene in mente un trsite modo di dire: -è la legge del menga: chi ce l’ha … se lo tenga-. A volte ho affrontato argomenti tipo ‘il crocifisso sparito’ o ‘l’educazione sessuale’ alle scuole elementari … mi hanno guardata con sgomento. E siamo all’era del computer … le informazioni sono più alla portata di chi le vuole … concludo solo con: che amarezza, che ignoranti, che bigotti, che siamo ancora. Un caro saluto, dott. Fabrizio. Graziella, Genova.